Navigare tra le note di un pianista geniale: Novecento di Alessandro Baricco

Novecento di Alessandro Baricco
Novecento di Alessandro Baricco è stato per me la scoperta di un’opera straordinaria, una perla letteraria che vi rapirà fin dalle prime righe. Alessandro Baricco, orafo di questo gioiello narrativo, ha pubblicato per la prima volta il volume nel 1997, navigando i temi della magia della musica, del mare e dell’amore per l’arte.
Novecento di Baricco: la trama
Novecento racconta la storia di Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento, un pianista prodigio che nasce e cresce sulla nave da crociera Virginian. Il protagonista, un personaggio enigmatico e affascinante, diventa una leggenda grazie al suo talento ineguagliabile sui tasti del pianoforte. La sua musica è in grado di toccare l’anima di chiunque lo ascolti ma, allo stesso tempo, la sua vita è avvolta da un alone di mistero e solitudine.
Baricco, con la sua scrittura fresca ed evocativa, ci conduce in un viaggio onirico attraverso gli occhi del trombettista Tim Tooney, l’unico amico di Novecento. Il tono amichevole e coinvolgente con cui l’autore narra la storia mi ha fatto quasi sentire parte dell’equipaggio della Virginian, testimone di una vita vissuta tra le onde del mare e le note del piano.
Novecento di Baricco: l’ambiente
Anche l’ambientazione di Novecento è un personaggio a sé stante: l’oceano, il luogo in cui tutto è possibile e in cui l’arte di Novecento raggiunge la sua massima espressione. Le descrizioni dei paesaggi marini e delle emozioni suscitate dalla musica di Novecento mi hanno quasi fatto venire voglia di imbarcarmi sulla Virginian e abbandonarmi al fascino di questa storia, diventando io stesso un suo personaggio.
Una delle maggiori qualità di questo libro è la capacità di Baricco di esplorare temi profondi e universali attraverso un linguaggio semplice e accessibile. La storia di Novecento vi farà riflettere sull’importanza dell’arte nella nostra vita, sul senso di appartenenza e sulle scelte che ognuno di noi deve compiere.
Inoltre, l’opera è stata adattata in un monologo teatrale di grande successo, interpretato magistralmente da Eugenio Allegri, che rende ancor più coinvolgente la narrazione. Per chi ama il cinema, il film La leggenda del pianista sull’oceano, diretto da Giuseppe Tornatore e con la colonna sonora di Ennio Morricone, offre una reinterpretazione visiva e musicale di questa affascinante storia.
Pensieri e citazione
In definitiva, Novecento è un’opera che mi ha scaldato il cuore e mi ha fatto sognare. La prosa di Baricco, dolce e coinvolgente, mi ha fatto immergere nelle profondità di un oceano infinito, raccolto nella finitezza di quegli 88 tasti del pianoforte. Non posso non citare, quindi, il monologo che ha rappresentato per me la fonte più grande di riflessione: si tratta del monologo che Novecento fa alla fine del libro al trombettista Tim Tooney:
Tutta quella città… non se ne vedeva la fine…
La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine? E il rumore. Su quella maledettissima scaletta… era molto bello, tutto… e io ero grande con quel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi, era garantito che sarei sceso, non c’era problema. Col mio cappello blu.
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino.
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino.
Primo gradino, secondo.
Non è quel che vidi che mi fermò. È quel che non vidi.
Puoi capirlo, fratello?, è quel che non vidi… lo cercai ma non c’era, in tutta quella sterminata città c’era tutto tranne. C’era tutto. Ma non c’era una fine. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo.
Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu/ Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me.
Ma se io salgo su quella scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi. Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e questa è la vera verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita. Se quella tastiera è infinita, allora…
Su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio. Cristo, ma le vedevi le strade? Anche solo le strade, ce n’era a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una… A scegliere una donna. Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire.
Tutto quel mondo. Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce. E quanto ce n’è. Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla…
Io sono nato su questa nave. E qui il mondo passava, ma a duemila persone per volta. E di desideri ce n’erano anche qui, ma non più di quelli che ci potevano stare tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità, su una tastiera che non era infinita.
Io ho imparato così. La terra, quella è una nave troppo grande per me. È un viaggio troppo lungo. È una donna troppo bella. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare. Perdonatemi. Ma io non scenderò. Lasciatemi tornare indietro.
Per favore. Adesso cerca di capire, fratello. Cerca di capire, se puoi. Tutto quel mondo negli occhi, terribile ma bello, troppo bello. E la paura che mi riportava indietro. La nave, di nuovo e per sempre… Piccola nave…
Quel mondo negli occhi, tutte le notti, di nuovo. Fantasmi. Ci puoi morire se li lasci fare. La voglia di scendere. La paura di farlo. Diventi matto, così… Matto. Qualcosa devi farlo e io l’ho fatto. Prima l’ho immaginato… Poi l’ho fatto, ogni giorno per anni. Dodici anni. Miliardi di momenti.
Un gesto invisibile e lentissimo. Io, che non ero stato capace di scendere da questa nave, per salvarmi sono sceso dalla mia vita. Gradino dopo gradino. E ogni gradino era un desiderio. Per ogni passo, un desiderio a cui dicevo addio.
Non sono pazzo, fratello. Non siamo pazzi quando troviamo il sistema per salvarci. Siamo astuti come animali affamati. Non c’entra la pazzia. È genio, quello. È geometria. Perfezione. I desideri stavano strappandomi l’anima. Potevo viverli, ma non ci son riuscito.
Allora li ho incantati.
E a uno a uno li ho lasciati dietro di me. Geometria. Un lavoro perfetto. Tutte le donne del mondo le ho incantate suonando una notte intera per una donna, una, la pelle trasparente, le mani senza un gioiello, le gambe sottili, ondeggiava la testa al suono della mia musica, senza un sorriso, senza piegare lo sguardo, mai, una notte intera, quando si alzò non fu lei che uscì dalla mia vita, furono tutte le donne del mondo. Il padre che non sarò mai l’ho incantato guardando un bambino morire, per giorni, seduto accanto a lui, senza perdere niente di quello spettacolo tremendo bellissimo, volevo essere l’ultima cosa che guardava al mondo, quando se ne andò, guardandomi negli occhi, non fu lui ad andarsene ma tutti i figli che mai ho avuto.
La terra che era la mia terra, da qualche parte nel mondo, l’ho incantata sentendo cantare un uomo che veniva dal nord, e tu lo ascoltavi e vedevi, vedevi la valle, i monti intorno, il fiume che adagio scendeva, la neve d’inverno, i lupi la notte, quando quell’uomo finì di cantare finì la mia terra, per sempre, ovunque essa sia. Gli amici che ho desiderato li ho incantati suonando per te e con te quella sera, nella faccia che avevi, negli occhi, io li ho visti, tutti, miei amici amati, quando te ne sei andato, sono venuti via con te. Ho detto addio alla meraviglia quando ho visto gli immani iceberg del mare del Nord crollare vinti dal caldo, ho detto addio ai miracoli quando ho visto ridere gli uomini che la guerra aveva fatto a pezzi, ho detto addio alla rabbia quando ho visto riempire questa nave di dinamite, ho detto addio alla musica, alla mia musica, il giorno che sono riuscito a suonarla tutta in una sola nota di un istante, e ho detto addio alla gioia, incantandola, quando ti ho visto entrare qui.
Non è pazzia, fratello. Geometria. È un lavoro di cesello. Ho disarmato l’infelicità. Ho sfilato via la mia vita dai miei desideri. Se tu potessi risalire il mio cammino, li troveresti uno dopo l’altro, incantati, immobili, fermati lì per sempre a segnare la rotta di questo viaggio strano che a nessuno mai ho raccontato se non a te.


