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Venere Influencer: lo spot Open to meraviglia voluto dalla Ministra del Turismo Daniela Santaché ripete con una ridondanza banalissima i soliti simboli dell’Italia alla straniera.

Nulla di nuovo sul fronte della comunicazione pubblicitaria italiana. Con una cadenza scontata e ben poco influenzabile, anche questa volta lo spot che dovrebbe promuovere il turismo in Italia fa un grandissimo buco nell’acqua.

L’unico elemento che ha scosso il mare della rete non è stato, infatti, la bellezza glorificante della penisola attraverso le sue immagini di meraviglia, bensì la serie di imprecisioni, gaffe e ridicolissimi luoghi comuni che hanno descritto, nuovamente, una cultura italiana apprezzabile (forse) solo all’estero – ma neanche troppo.

Venere influencer mangia pizza, suona il mandolino e beve vino nelle cantine slovene

Pace per gli stereotipi: possiamo accettare una comunicazione volta a colpire i turisti stranieri fatta di pizza, mandolino e location conosciutisssime. Ciò che non si può accettare, però, è la qualità e la messa in immagine di queste banalità comunicative. Dalle immagini di stock, come denunciato prima da Massimiliano Milic della casa di produzione Terroir films su Twitter:

Massimiliano Milic tweet immagini stock Slovenia Venere Influencer open to Meraviglia

 

e poi da Selvaggia Lucarelli su Il Fatto Quotidiano:

Cantina slovenia immagine stock Venere Influencer

 

Di fatto, il video in cui vediamo dei ragazzi bere vino in una cantinaslovena – girato dal regista olandese Hans Peter Sheep è reperibile sulla piattaforma Artgrid a cui è possibile abbonarsi per la modica cifra di 600 euro.

Ma non è l’unica questione scottante. Come fa notare la prof.ssa e ordinaria di semiotica all’Università di Bologna Giovanna Cosenza, “il cliente ha sempre ragione”, soprattutto se il cliente è una Ministra dello Stato italiano.

Il risultato di questa imposizione è un ribasso non solo in fatto di finanziamento, ma anche e soprattutto di libertà creativa. Questo porta a ottenere un prodotto finale che percorre i significati e le preferenze del suo committente, in questo caso la Santaché.

Quindi un cliente che, avendo gestito Twiga e Billionaire, conosce bene quella fetta di turismo italiano e ne vuole tracciare una cartolina ben precisa, fatta di hotel di lusso  (promosse da Italia.it), suite da migliaia di euro, location conosciute e abitudini turistiche comuni e per nulla sostenibili, come sottolineato su Open.

La comunicazione non sta al passo con i tempi

Una cosa è certa: lo spot Open to meraviglia non strizza l’occhio a nessuna generazione sotto i 35 anni. Semmai, come nota la stessa Cosenza, è lo stampo della stessa matrice che ha prodotto le campagne di advertising turistico prima di lei.

Parliamo del video promozionale dell’ex ministro Francesco Rutelli, Plis visit aur countri volto a lanciare il Portale Italia, prima vetrina digitale della penisola, costata 43 milioni di euro. Il sito chiuse dopo un anno, dopo una pioggia di critiche che puntavano il dito sugli errori di inglese e sulle banalità di contenuto. E parliamo anche della  campagna Magic Italy dell’ex ministra Michela Brambilla, dove il voice over di Silvio Berlusconi chiamava a raccolta gli italiani per rimanere in Italia a fare le ferie.

Che poi, un tentativo riuscito da cui prendere spunto per la promozione social del bel paese era già stato fatto da Visit Italy, agenzia indipendente di promozione delle bellezze italiane per il turismo. Attraverso lo spot Italia: bellezza da condivideredal gusto attrattivo, social e giovane, nel quale i tagli di reel postati su Instagram da vari utenti (citati) andavano a costruire la rotta geografica del turismo italiano, raggiungendo più di 60 milioni di views.

 

Mandami un Whatsapp…

Ma se non bastano i precedenti a rendere ancora più grottesca la campagna pubblicitaria, il primo premio per migliore prove di vecchiume operativo di Open to meraviglia va all’attributo Alt e al titolo delle immagini pubblicate sul sito.

Di SEO ormai se ne parla parecchio, ma a quanto pare la nozione non è arrivata ai piani alti. Infatti, le varie fotografie, oltre a modificare l’aspetto della Venere peggio di un filtro Instagram, sono state mandate via Whatsapp e poi caricate sul sito del Ministero.

Dove sta il problema?

Beh, oltre a essere state compresse attraverso la app di messaggistica, cosa che farebbe rabbrividire qualsiasi grafico o programmatore, sono state poi caricate così come “Whatsapp le ha fatte” sul portale, soprassedendo completamente l’esigenza di ottimizzazione per i motori di ricerca (fondamentale per una campagna online) che avviene, anche, attraverso un titolo e un attributo Alt coerente con le parole chiave del testo, e non con Whatsapp-Image-2023-at-13.32.59….

Whatsapp Venere Influencer Italia.it

Open to meraviglia si traduce in aperto a Übersicht

La questione che forse ha fatto più stridere i denti è quella delle traduzioni automatiche dal tedesco di alcune località italiane. No, non si tratta di un errore fugace e sul quale si può chiudere un occhio, bensì la lista si può trovare sul sito Italia.it, dove alcuni nomi di città vengono confusi per nomi comuni.

Ed ecco che Fermo si traduce in Stillstand (arresto), Scalea diventa Treppe (scala), Camerino Garderobe (armadio) e Brindisi, indovinate un po’, Toast.

Venere Influencer

Venereitalia23, la Venere Influencer, a oggi conta 32,2 mila followers su Instagram. Ha 7 post di cui soltanto uno raggiunge i 5mila like (gli altri si aggirano sui 2k). Ma il fatto forse più assurdo riguarda il dominio non registrato di Open to meraviglia, preso da un’altra agenzia di marketing. E pensare che nel  video promozionale si attestava che sarebbe stato possibile trovarla sui social: «Su Instagram, Linkedin e tutti i social sarò venereitalia23». Peccato che nessuno abbia pensato a registrare il nome del dominio online.

Il costo del fallimento

Concludendo: 9 milioni di euro per produrre un video che sì, sarà anche andato su tutte le piattaforme, diventando in brevissimo tempo un trend su Twitter, ma per tutte le ragioni sbagliate.

Open to meraviglia e la Venere Influencer, tagliata e incollata su dei cartonati di modelle di Zara, in modo a-estetico e posticcio, non comunica ai giovani e sicuramente non mostra niente di nuovo sull’Italia di oggi. Riflette, semmai, quello spaccato culturale che caratterizza la sua classe dirigente, ancora arrugginita (o forse da sempre) in fatto di comunicazione, marketing e digitale. Infine, non è neppure la professionalità e l’abilità di una grande casa pubblicitaria come la Armando Testa a poter gettare la scialuppa di salvataggio su uno spot inondato di critiche.

 

Venere Influencer: un’accozzaglia di flop

Purtroppo, non è tanto l’immaginifico di stereotipi a fare di questo spot un flop, che magari può pure funzionare all’estero. È piuttosto il posizionamento stesso che uno spot del genere impone a diventare problematico. Da un punto di vista di marketing e comunicazione, questo spot è apprezzabile solo da quella generazione di stranieri habitue che vedono l’Italia solo dalle prospettive di Roma, Venezia, Firenze e nient’altro.

Rilegati, imprigionati in una piccola nicchia ammuffita, dove non si fa cenno a nessuna delle questioni portanti e che stanno tanto a cuore ai più giovani: libertà di movimento per tutti, ecosistema, ambiente, diversità… sostanzialmente, il “friendly” da varie ed eventuali angolazioni.

E no, non è uno shoutout obbligatorio al politically correct, ma è un’esigenza che dovrebbe far aprire gli occhi – in primis – alla politica italiana. Che poi finirà, inevitabilmente, il tempo il cui questi spot riusciranno a parlare anche solo a qualcuno, e ci metterà di fronte all’evidenza annichilente di un fallimento lungo 15 anni.

E così, chissà, l’Italia si accoderà, vergognosamente, in fondo alla classifica europea delle mete turistiche Europee più gettonate, come per tante altre cose.

Speriamo di no.

 

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